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Autore/i: Cesare Bermani
Parole chiave: Giacomo Matteotti, Antifascismo, Fascismo, Sqadrismo, Socialismo, Canzone popolare
Come citare questo articolo: Cesare Bermani, La morte e il mito di Giacomo Matteotti nei canti popolari, in “I Luoghi della storia nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola”, A. 1 – N. 2/2024
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La morte e il mito di Giacomo Matteotti nei canti popolari
Prima di eclissarsi l’Albino Volpi, uno dei ritenuti sicari del delitto di Roma, ad alcuni suoi amici avrebbe riferito come fu compiuto il supplizio di Giacomo Matteotti. La cosa a noi è stata riferita da persona degna di ogni fede, ma che non possiamo assolutamente nominare. Il Volpi avrebbe dunque detto: “Sono deciso a non farmi prendere. Non mi prenderanno. Comunque sono deciso a sparare sui miei catturatori e poi su me stesso. Vivo non mi avranno. Ed è anche meglio per loro… il contegno di Matteotti è stato assolutamente spavaldo mentre lo pugnalavamo; direi eroico. Ha continuato fino alla fine a gridarci in faccia: ‘Assassini, barbari, vigliacchi!’ Non ebbe un momento di debolezza per invocare pietà. E mentre noi continuavamo nella nostra azione, egli ci ripeteva: ‘Uccidete me ma l’idea che è in me non la ucciderete mai’. Probabilmente se si fosse umiliato un momento e ci avesse chiesto di salvarlo riconoscendo l’errore della sua idea avremmo forse non compiuta fino alla fine la nostra operazione. Ma no. Fino alla fine, fin che ha avuto un filo di voce ha gridato: La mia idea non muore! I miei i bambini si glorieranno del loro padre! I lavoratori benediranno il mio cadavere!’ È morto gridando: ‘Viva il socialismo!’ Tale sarebbe stato il contegno del martire che assurge in un’aureola di gloria infinita. Che la voce del martire sia raccolta da tutti i lavoratori d’Italia!
Questa presunta testimonianza è con ogni probabilità soltanto un’invenzione giornalistica, perché non si muore tragicamente come se si fosse in un melodramma. Tuttavia essa fu in grado di creare il mito della morte di Matteotti.
La vicenda sarà fatta propria dai cantastorie e da gente comune amante del canto e, malgrado la repressione fascista mirasse a cancellare qualunque cosa riguardasse Matteotti ( era prevista infatti la galera solo per avere in casa un suo ritratto), molte canzoni su di lui sono giunte sino a noi.
Hanno notato Marzio Breda e Stefano Caretti (Il nemico di Mussolini, Milano 2024) che alla
”leggenda” di Matteotti martire, destinata a esercitare una straordinaria forza di ammirata attrazione tra le masse popolari, non solo socialiste, […] si associarono ben presto forme di devozione mistica e di ritualità sacrale. Data la persecuzione di cui fu oggetto anche da morto, Matteotti, che pure aveva ispirato la sua condotta e la sua azione politica a principi rigorosamente laici, divenne infatti per la gente anche un “santo”, il santo di Fratta Polesine. Di qui l’eccezionale estensione del culto dell’immagine matteottiana. Era ritagliata da giornali e riviste, ora acquistata o richiesta insistentemente alla vedova. Così il ritratto di Matteotti fu collocato sopra improvvisati altarini, con fiori e candele votive, nei cortili delle case popolari. E poi durante il Ventennio tra le mura domestiche accanto ai famigliari scomparsi, conservato e venerato con la stessa devozione riservata a una reliquia sacra.
Nel cinquantesimo anniversario dell’assassinio di Matteotti ho effettuato una ricerca sul campo e ho trovato numerose canzoni sull’episodio. Ripubblico qui il testo di quelle raccolte in provincia di Novara, le più significative.
Primo caso studio
1) Un rifacimento di Fox trot della nostalgia, musica di Dino Rulli (alias Vittorio Vitaliani)), parole di Bixio-Cherubini, il cui testo che a un certo punto dice: “Sulla sponda argentina / una folla cammina/ per sorrider al mar/ è un confuso vociar:/ ‘Il piroscafo è là’”. Il rifacimento mi venne cantato a Novara dopo la metà degli anni Cinquanta del Millenovecento dal milanese Quinto Bonazzola, funzionario del Partito Comunista italiano:
Sulla sponda argentina
Mussolini cammina
Matteotti de dré
ch’el ghe tira el giaché
“Assassin che te se”
Mussolini el se volta
cunt la facia sconvolta
el se mett a vusà
eja eja alalà
ma nessun ghe da trà.
Secondo caso studio
2) Nel 1963 mi trovavo a Romagnano Sesia a un pranzo di compagni comunisti e mi capitò di sentire cantare questa Canta di Matteotti da Giovanni Lucato, nativo di Pozzonuovo (Padova) nel 1897. Il Lucato faceva allora l’ambulante, aiutando anche il figlio, coltivatore diretto, e viveva a Lozzolo (Gattinara). Dapprima contadino iscritto al Partito socialista, dovette emigrare dopo alcuni scontri a fuoco coi fascisti. Dal 1923 al dicembre del 1925 lavorò in Belgio come manovale, e poi alle dipendenze del comune di Tamines. Ed è lì che imparò questa canta di Matteotti e che si iscrisse al Partito Comunista. Me l’ha canta sulla classica aria da cantastorie detta di Caserio. Però con il secondo ritornello che riecheggia “Sor Capanna”.
Fra gemito e singhiozzo il mio pensiero
vò descrivendo l’orribile misfatto
ch’ha impressionato tutto il mondo intero
a chi ha cuore in petto a pianger non si sazia
ed hanno ucciso oh sì
con brutale ardor
Giacomo Matteotti
padre dei lavorator
E tutta quella banda di sicari
composta dalla peggio mano nera
lor seminava ovunque dolore e pena
perché sono avanzi di galera
Filippelli e più il Dumini
sono ladri ed assassini
assieme il curato
Giacomo Matteotti l’hanno trucidato
“Curato” poteva essere inizialmente anche Putato. Ma la spiegazione che ne dà Lucato è: “Può essere un prete o anche Mussolini. Ucciso dal curato un po’ nascostamente”.
Terzo caso studio
3) Questa versione mi è stata cantata da Caterina Martelli, comunista, allora di anni 72, nel 1963 a Novara, al Circolo Archimede. Secondo lei era stata portata in Piemonte dagli emiliani. È questa la canzone su Matteotti che era più diffusa nel Novarese e Vercellese.
Corso Regina Elena
là c’era una salita
là dove Matteotti
lasciò la sua vita
Vigliacchi son ucciderlo
così dobbiamo fare
uniti proletari
dobbiamo vendicare
Poveri figli suoi
lor sono abbandonati
gli hanno ucciso il padre
quei vili scellerati
Vigliacchi ecc.
E mentre lui moriva
‘na frase lui diceva:
“Uccidete me
e non la mia idea”
Vigliacchi ecc.
E mentre lui moriva
nel suo eroismo
e lui gridava forte:
“Evviva il comunismo”
Vigliacchi ecc.
Quando sarà il processo
noi ci saremo tutti
noi grideremo tutti:
“Vigliacchi e farabutti”
Vigliacchi ecc.
In altre versioni del canto il primo verso è “Corso Regina Coeli” oppure “Presso Montecitorio”
Matteotti non ebbe mai simpatia né per comunisti né per i massimalisti. Era un uomo di grande concretezza e non sopportava i parolai.
Riteneva che con la scissione di Livorno nel 1921 il Partito Comunista d’Italia avesse indebolito il proletariato e che il comunismo, affermando di voler instaurare la dittatura del proletariato, lottasse per una nuova barbarie e rappresentasse un eccellente pretesto per le violenze fasciste. Matteotti era infatti un fautore della democrazia parlamentare.
Tuttavia Caterina Martelli gli fa gridare “evviva il comunismo” in luogo di “evviva il socialismo”, perché era consuetudine dei militanti di base affermare in tal modo la propria appartenenza ideale. La cosa dimostra inoltre come il mito di Matteotti non appartenesse già da subito soltanto ai socialisti ma a tutto il proletariato.
Non meraviglia quindi che un anonimo militante veneto abbia potuto cantarmi a Novara, al Circolo Riscatto Proletario nel febbraio 1964, questa strofetta dove il suo nome è affiancato a quello di Stalin, altro grande mito del secondo dopoguerra:
Bandiera rossa dove sei stata
dopo vent’anni sei ritornata
Bandiera rossa che è color del vin
Evviva Matteotti e ’l su compagn Stalin.
Quarto caso studio
4) Questa canzone mi è stata cantata sull’aria del Canto dei lavoratori. Inno del Partito Operaio Italiano, musica di Amintore Galli, parole di Filippo Turati¸ da Luigi Grassi, contadino di Lumellogno, nell’ottobre 1963. L’ho registrata sul campo solo io.
Sorge un grido di orrore
scosse il mondo più civile
un delitto orrendo e vile
il fascismo si macchiò
Come carne da macello
Matteotti fu scannato
il gran martire s’è immolato
per la nostra libertà.
Fier vendetta noi faremo
del fascismo oppressor
nel suo sangue affogheremo
contro i vili
contro i vili traditor.
Matteotti dalla tomba
ci segnala gli assassini
e ci dice di Mussolini
far vendetta e non pietà
La vendetta la faremo
con l’unione dei fratelli
vendicheremo quei ribelli
trucidati con furor
Molte furono anche le canzoni che i fascisti cantarono, dopo i primi mesi dall’assassinio, quando il regime sembrò crollare e tanti fascisti si levavano dall’occhiello il distintivo fascista, detto a livello popolare “la cimice”.
Ma l’antifascismo non seppe mettere a frutto quel periodo, permise al fascismo di riprendersi e gli squadristi poterono rimettersi a cantare le loro canzoni contro Matteotti. Ne ricorderò alcune. Sull’aria di Bandiera rossa:
Non c’è né Ceka né assassini
vogliam Dumini vogliam Dumini
non c’è né Ceka né assassini
vogliam Dumini e Filippel.
Vogliam Dumini e Filippel
evviva evviva il santo manganel
evviva evviva il santo manganel
viva Dumini e Filippel.
E, sulla medesimo aria, molto diffusa:
Macché repubblica
macché Mazzini
viva Dumini
pugnalator.
E con Dumini Volpi e Viola
la vittoria non mancherà.
Sull’aria del fox trot Pallida Mimosa, musica di Gaetano Lama e versi di Libero Bovio, cantarono:
Matteotti, Matteotti
quanta malinconia nel tuo sorriso
avevi un posticino in Parlamento
te l’ha levato il fascio in un momento
O anche strofette di questa levatura:
Con la carne di Matteotti
faremo i salsicciotti.
Hanno ammazzato Matteotti
figlio d’un vagabondo
beato quel Dumini
che lo levò dal mondo.
È morto Matteotti
faremo un funerale
andremo ripetendo
è morto un gran maiale.
Conclusioni
Perché tanto odio verso il deputato socialista da parte di Benito Mussolini, tanto da fargli commissionare ai suoi fedeli bravi l’omicidio?
Mussolini si era giustamente convinto che Giacomo Matteotti fosse il più irriducibile e pericoloso avversario del fascismo.
Era stato il più duro contestatore dell’impresa libica e nel 1915 era giunto addirittura a teorizzare “il dovere di opporsi con tutte le armi possibili all’intervento” e , di fronte all’entrata in guerra dell’Italia, arrivò a sostenere che si dovesse organizzare un’insurrezione popolare contro la guerra. Poi nel dopoguerra sostenne che si sarebbe arrivati al socialismo attraverso una sempre migliore organizzazione dei comuni, delle leghe e delle altre forme di associazionismo. A Rovigo era stato alla testa della vittoriosa lotta dei braccianti per l’imponibile di mano d’opera a seconda del perticato e per il controllo del collocamento da parte dei lavoratori, riforma che su scala nazionale sarà il principale bersaglio dello squadrismo. Nel 1919 era stato chiamato a dirigere la Camera del lavoro di Ferrara, una di quelle più prese di mira dai fascisti. Picchiato più volte da fascisti e agrari, Matteotti denunciò in Parlamento le violenze fasciste e nel 1923 mise a punto Un anno di dominazione fascista (Milano, Edizioni Avanti!), un documentatissimo e lungo pamphlet su quanto avveniva nel Paese e sui provvedimenti antipopolari del Governo Mussolini. Poi tra il 21 e il 22 aprile 1924 si era recato segretamente in Inghilterra e a Londra si era accordato per la pubblicazione in inglese del suo pamphlet e documentato sulla americana Sinclair Exploration Company, cui il governo fascista voleva dare il monopolio delle ricerche petrolifere in Sicilia e in Emilia Romagna, azione giudicata dannosa per l’economia nazionale.
Il 30 maggio aveva denunciato, in un discorso alla Camera, i brogli durante le elezioni e le intimidazioni compiute dalle camicie nere nel corso delle campagna elettorale. Infine, qualche giorno dopo, durante la discussione del disegno di legge che autorizzava il governo all’esercizio provvisorio del bilancio statale, mise in luce la falsificazione delle cifre del bilancio ufficiale presentato dal Governo, di fronte al Parlamento e al re, come in pareggio, mentre aveva invece un forte disavanzo. Il giorno dopo la sua morte, Matteotti avrebbe dovuto discutere della vicenda della Sinclair, ossia della corruzione e del peculato nella quale erano coinvolti alti funzionari fascisti. Ma, per loro fortuna, Mussolini aveva già ordinato l’assassinio del deputato socialista.
Quanto agli assassini, se la cavarono con pene lievi e vennero lautamente ricompensati. Il solo Amerigo Dumini ha avuto erogazioni per 2.171.330 lire, autorizzate da Mussolini. Inoltre gli sarebbe poi stata concessa una tenuta agricola di 500 ettari in Cirenaica, più altri 1200 ettari affidatigli a titolo gratuito, per un totale stimato in 5-6 milioni di allora.