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Titolo: Recensione di Antonio Senta, Pane e rivoluzione. L’anarchia migrante (1870-1950)

Autore/i: Carlo Greppi

Parole chiave: Emigrazione, Anarchismo

Come citare questo articolo: Carlo Greppi, Recensione di Antonio Senta, Pane e rivoluzione. L’anarchia migrante (1870-1950), in “I Luoghi della storia nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola”, A. 1 – N. 2/2024

Antonio Senta, Pane e rivoluzione. L’anarchia migrante (1870-1950)

Gli ideali viaggiano, da sempre, anche attraverso i corpi degli esseri umani. Quell’immensa massa di migranti italiani che oltrepassò frontiere e solcò mari e oceani tra ‘800 e ‘900, regolarmente e clandestinamente, portò così con sé anche il sogno di un sovvertimento dell’ordine costituito. Pane e rivoluzione. L’anarchia migrante (1870-1950) di Antonio Senta (elèuthera 2024) inquadra i progetti di rivoluzione libertaria in chiave transnazionale, cruciale quando si indaga un oggetto così peculiare come il movimento anarchico di lingua italiana, indissolubilmente legato ai flussi migratori. Il saggio naviga tra storie di donne e uomini partiti da un giovanissimo Regno, prima, e via via dall’Italia liberale, da quella fascista e da una democrazia ai suoi esordi.

“Nostra patria è il mondo intero”, recitano gli Stornelli d’esilio di Pietro Gori: nell’era dei nazionalismi, in cui si intrecciano ovunque xenofobia e antisovversivismo, per anarchici e anarchiche, in larghissima misura proletari e cosmopoliti di ferro, la lotta è particolarmente dura. Come quella della miseria, la dimensione dell’esilio è intrinseca ai percorsi biografici anarchici, e se Londra e Parigi sono “capitali di fatto” del sovversivismo internazionale e città come Lugano e Nizza luoghi tradizionali di rifugio, in generale le frontiere sono usate per passare in paesi sicuri e per propagandare “la rivoluzione sociale, da ottenersi tramite l’insurrezione”. Il volontarismo in armi affonda le sue radici nel garibaldinismo risorgimentale, su entrambe le sponde di quell’oceano Atlantico sul quale gli ideali rivoluzionari hanno viaggiato per buona parte dell’età moderna.

Il cono sud del continente americano, già al centro di quello straordinario fenomeno di volontarismo universale ottocentesco narrato da Alessandro Bonvini in Risorgimento atlantico (Laterza 2022), è un laboratorio in cui ad esempio gli immigrati italiani, insieme ad altri, creano “un forte movimento sociale sulle due sponde del Rio de la Plata”. Ed è lì che agiscono a fine ‘800, esercitando una “grande influenza nella vita sociale e culturale” uruguaiana e argentina, due figure assai note dell’anarchismo di matrice italiana, Errico Malatesta e Pietro Gori, il “cavaliere errante dell’anarchia” autore del più celebre “inno” libertario, Il canto degli anarchici espulsi (Addio Lugano bella). In Argentina, paese che oggi conta il maggior numero di discendenti di italiani al mondo, 50.000 donne italiane partecipano agli scioperi guidati dagli anarchici nel 1907 e nel 1909.

Il ‘900 è un’epoca di grandi speranze – si pensi alla partecipazione di una cinquantina di anarchici di lingua italiana alla rivoluzione messicana – e di cocenti delusioni, incarnate nel dilagare di regimi dittatoriali che reprimono senza pietà ogni forma di dissenso. Gli anarchici cadono in gran numero battendosi per la libertà e per la rivoluzione, e non solo nei paesi fascisti. Nell’atroce mayo sangriento del 1937 (il “maggio insanguinato” della guerra di Spagna) gli stalinisti, come già hanno fatto e faranno in Unione sovietica, scatenano la caccia all’uomo contro i loro stessi compagni di lotta; tra gli omicidi che suscitano più sgomento ci sono quelli degli anarchici italiani Camillo Berneri e Francesco Barbieri. Dopo essere stati tra i più irriducibili avversari del regime fascista – protagonisti di diversi tentativi di tirannicidio contro Mussolini – e dei fascisti in ogni angolo d’Europa, poi, gli anarchici animano le “quattro giornate” napoletane del 1943, in uno degli esordi della Resistenza sul suolo italiano. Ma la storia non termina con la fine del secondo conflitto mondiale sul “vecchio continente”: la partecipazione libertaria alle lotte per la decolonizzazione ne è la manifestazione più eclatante, al pari della breve vita di Maria Luisa Berneri, “Malù”, che nell’immediato dopoguerra condanna il rischio atomico, gli imperialismi occidentali e la repressione dei paesi comunisti, “in nome di un convinto antifascismo che si oppone a tutti i totalitarismi”.

Diviso in cinque capitoli introdotti da canzoni di Woody Guthrie, voce degli emarginati e della volontà di rivolta, il libro di Senta è un fondamentale vademecum per orientarsi in un “movimento magmatico” seguendo diacronicamente la diaspora anarchica su assi geografiche: dalle Americhe all’Australia, dal Nord Africa all’Europa, sempre “con la Spagna nel cuore”. Fine conoscitore di una materia che rischia di divenire inafferrabile proprio per la sua dimensione transnazionale, di lungo periodo e spesso clandestina, Senta propone inoltre in questo agile affresco diverse traiettorie biografiche “a rappresentanza di migliaia di altre”.

È una storia, questa, segnata da fatiche e da dissidi, e dal prezzo che molti hanno pagato, ma anche da una tenacia ammirevole nel raggiungimento dell’obiettivo, la “fratellanza umana e universale” in un’ottica “in cui la linea di rottura sia tra chi esercita e chi subisce il dominio, o tra chi sfrutta e chi è sfruttato, e non tra i popoli o le nazioni”.